Arredi e Dipinti di Palazzo al Bosco e da altre private provenienze

Lotto N. 237

Bernhard Keilhau detto Monsù Bernardo attribuito
(1624 - 1687)

Lavandaia

(1624-1687)
olio su tela, in cornice, reca piccole cadute di colore
cm 91x67
La fortuna critica di Bernhard Keil o Keilhau, meglio noto come Monsù Bernardo, è già consolidata pochi decenni dopo la sua morte, visto che Filippo Baldinucci gli dedicò una biografia nelle sue « Notizie de' professori del disegno da Cimabue in qua » (Firenze 1728, VI, pp. 510-516), dove lo ritiene un pittore degno di lode, i cui quadri erano richiesti in tutta Europa. In tempi moderni, la corretta lettura critica del pittore, la si deve soprattutto a Roberto Longhi (« Monsù Bernardo », in La Critica d'Arte [1938], pp. 121-130), che distinse la sua produzione in rapporto alle realizzazioni di Antonio Amorosi, evidenziandone al tempo stesso le affinità con Domenico Fetti. Monsù Bernardo nacque in Danimarca e si formò prima presso la bottega del padre Gaspard, di origini tedesche ed anche lui pittore, e poi presso quella di Morten van Steenwinkel, pittore di corte a Copenhagen. Partito per Amsterdam, ebbe modo di lavorare nella bottega di Rembrandt negli anni tra il 1642 ed il 1644. Fu in seguito in Italia, dove giunse a Venezia nel 1651. Lo troviamo, quindi, a Bergamo, finché nel 1656 si stabilisce a Roma. Qui il pittore si lasciò influenzare sia dal caravaggismo, sia dalle creazioni della scuola dei Bamboccianti, senza ignorare i maestri della natura morta. È proprio questa formazione, fortemente eterogenea, che emerge dalla coppia di dipinti presentati da Maison Bibelot, tipici della sua migliore produzione. Essi rientrano a pieno titolo nella serie dedicata alle allegorie dei cinque sensi, in cui l’artista prende a pretesto un soggetto « alto » per donarci in realtà delicate e vibranti visioni istantanee di vita quotidiana, in cui compaiono anziani e giovani popolani, contadini ed artigiani colti con sensibilità di Bambocciante. Cronologicamente questi dipinti possono collocarsi soprattutto durante il soggiorno a Bergamo o nei primissimi anni romani. Nel caso della lavandaia, un tema già trattato anche da Giacomo Ceruti e chiaramente appartenente alla cultura figurativa del realismo lombardo, la scena allude al tatto e all'elemento acqua, evocati da un umile ragazza intenta a sciacquare i panni in una fontana, nel caso del fanciullo la scena allude ancora al tatto e all’elemento fuoco, che giovinetto è nell’atto di attizzare. Si noterà, infine, che un dipinto riferito a Monsù Bernardo raffigurante una ragazza intenta a sciacquare i panni è ricordato da Longhi (op. cit., p. 124) nella collezione del pittore bolognese Giuseppe Maria Mitelli, che Minna Heimbürger (« Bernardo Keilhau detto Monsù Bernardo », Roma 1988, p. 203, n. 100) ha creduto di identificare con un dipinto in proprietà privata, che costituisce una variante dell’opera qui presentata
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